La segnalazione di una condotta illecita del collega, ai sensi della normativa sul whistleblowing, non costituisce un’esimente per l’illecito disciplinare del lavoratore denunciante.
La fattispecie delineata da tale norma esclude dal proprio novero le condotte calunniose o diffamatorie, per ricomprendere invece le segnalazioni effettuate dal dipendente ai propri superiori di illeciti altrui, con l’effetto di impedire che il medesimo, in ragione di tali segnalazioni, possa essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure direttamente o indirettamente discriminatorie aventi effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati in modo diretto o indiretto alla denuncia.
Pertanto, l’applicazione al dipendente di una sanzione per comportamenti illeciti propri resta al di fuori della copertura fornita dalla norma, che non esime da responsabilità chi commetta un illecito disciplinare per il solo fatto di denunciare la commissione del medesimo fatto o di fatti analoghi ad opera di altri dipendenti.
La Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003 e ratificata in Italia con la l. 116/2009, prevede che gli Stati adottino misure appropriate per proteggere chi segnali illeciti, da qualsiasi “trattamento ingiustificato”, tale evidentemente non potendo essere la commissione da parte propria, da soli o in concorso, di autonomi illeciti che nulla hanno a che vedere con tali segnalazioni.
La Direttiva (UE) 2019/1937 definisce la protezione cui gli Stati membri devono indirizzare i loro interventi nel senso del “divieto di qualsiasi forma di ritorsione”.
Essa è dunque finalizzata ad impedire conseguenze sfavorevoli per il fatto in sé di avere segnalato illeciti, ma certamente non costruisce esimenti rispetto agli illeciti che la medesima persona avesse in ipotesi autonomamente ed altrimenti commesso, da sola o in concorso.
L’art. 54-bis non riconosce, né lo Stato è tenuto a riconoscere, un’esimente rispetto a tali autonomi illeciti.
Nulla vieta all’ordinamento di riconoscere eventuali attenuanti oppure di valorizzare il “pentimento” sotto il profilo della valutazione di proporzionalità.