Con la nascita dello sport inclusivo, invece, i disabili cominciarono a praticare sport insieme ai normodotati.
Lo sport inclusivo non nasce come una sostituzione degli sport speciali per soli disabili, ma nasce come un’opzione, in cui il disabile è libero di scegliere se praticare l’uno o l’altro (perciò si riconosce anche il diritto di scelta).
L’inclusione però, non è solo accogliere tutti (integrazione), ma anche costruire dei percorsi che valorizzano tutti.
Non si tratta di mettere tutti dentro e basta, perché i disabili potrebbero essere esclusi da dentro, ad esempio:
L’altro rischio che potrebbe accadere è quello opposto, cioè dell’assistenzialismo, dove si valorizzano i più deboli (i disabili) e si trascurano i più bravi (i normodotati), i quali non possono giocare al massimo delle loro possibilità (si autolimitano) perché devono assistere i più deboli.
È proprio questo che distingue “accogliere la diversità” con “valorizzare la diversità” e ciò richiede un ingegno impegnativo.
Includere nelle attività sportive dei normodotati, anche persone disabili, è una chiave di successo a livello metodologico e didattico per poter offrire un intervento valido per un pubblico più ampio.
Un esempio di sport inclusivo è il People Olympics, il Baskin e il Rafroball.
Come valorizzare i disabili e i normodotati in modo che ciascuno possa contare l’uno per l’altro?
L’inclusione è cercare qualcosa che rispetti la dignità e valorizzi le capacità di tutti: sia disabili che normodotati.
Diversificando i ruoli (ruoli differenziati), cioè attribuire i ruoli adatti alle capacità reali di ciascuno; Modificando le regole di uno sport già esistente (come ad esempio il Baskin) oppure inventare uno sport completamente nuovo.
Cambiare la regola è necessario per rendere il livello dei giocatori equo e il gioco accessibile a tutti.