Una loro riduzione drastica può portare a sintomi come stanchezza, irritabilità, annebbiamento mentale, costipazione o vertigini: un quadro chiamato “influenza chetogenica”.
Tra l’altro, l’eliminazione drastica di carboidrati comporta spesso una carenza di fibre, vitamine e minerali, soprattutto se si evitano anche frutta, legumi e cereali integrali.
Nel lungo periodo, questa carenza può influire negativamente sulla salute intestinale e metabolica.
Ancora, diete prive di carboidrati prevedono spesso un maggior consumo di grassi animali e proteine processate, che possono aumentare i livelli di colesterolo LDL e favorire lo sviluppo di malattie cardiovascolari.
La riduzione dei carboidrati può favorire un dimagrimento più rapido nella fase iniziale (spesso legate a una maggior disidratazione), ma la sostenibilità nel lungo periodo dipende dalle abitudini personali (come associazione ad adeguata attività fisica) e dalla qualità complessiva dell’alimentazione.
Non basta dunque eliminare i carboidrati dalla propria alimentazione per perdere peso in modo sano, equilibrato e con un risultato duraturo.
In alcune persone una dieta povera di carboidrati può migliorare il controllo della glicemia e la sensibilità insulinica, soprattutto nel breve periodo.
Questi effetti, però, tendono a non essere sostenibili nel lungo periodo, oltre a non determinare un sostanziale miglior beneficio rispetto a una dieta ad adeguato apporto glucidico.
Un apporto ridotto di carboidrati può influire positivamente su alcuni marcatori di rischio cardiometabolico, come trigliceridi e pressione arteriosa, soprattutto in persone con sovrappeso.
Un’alimentazione povera di carboidrati ma ricca di grassi saturi può, ad esempio, aumentare il rischio cardiovascolare.
In caso di steatosi epatica metabolica (MASLD) una dieta a basso contenuto di carboidrati può contribuire a ridurre l’accumulo di grasso nel fegato e migliorare i marcatori infiammatori.